I limiti del metodo dei multipli EBITDA per la valutazione dell’azienda
Nelle operazioni di cessioni di società il metodo più utilizzato per la valutazione d’azienda è il metodo dei multipli dell’EBITDA.
L’applicazione del metodo dei multipli consiste nel moltiplicare l’EBITDA (che corrisponde al margine operativo lordo senza gli ammortamenti e accantonamenti) per un moltiplicatore che dipende dalla tipologia del settore e dalle prospettive di sviluppo della società in generale. Per determinare l’equity value ovvero il valore netto degli azionisti va decurtata la posizione finanziaria netta che è rappresentata da tutti i debiti e crediti di natura finanziaria.
Il grosso vantaggio dell’utilizzo di questo metodo è la semplicità e il fatto di limitarsi ad aspetti operativi; ci sono però diversi limiti all’utilizzo e li identifico in 3 categorie:
a) le normalizzazioni,
b) il periodo di riferimento,
c) l’EBITDA stesso come metrica di valutazione.
LE NORMALIZZAZIONI
L’ebitda che risulta dal bilancio può essere stato oggetto di “cosmesi di bilancio” per cui dobbiamo effettuare l’operazione di rimozione della “cosmesi” per arrivare ai dati reali.
Notiamo frequentemente che quando le società vanno bene si cerca di abbassare il risultato con la finalità di ridurre il carico fiscale mentre quando le società vanno male ci cerca di migliorare i dati per non allarmare i terzi (soprattutto banche e fornitori).
Tipicamente le rettifiche definite “normalizzazioni” nella stragrande maggioranza sono riconducibili a queste 7 casistiche:
1) Spese/ricavi della società non imputabili alla stessa ma all’imprenditore e alla sua famiglia
2) Salari e bonus dell’imprenditore e dei familiari diversi dai valori di mercato
3) Affitto immobile riconducibile all’imprenditore e con valore diverso da quello di mercato
4) Costi di start up o manutenzioni straordinarie spesati nell’esercizio
5) Capitalizzazioni di spese correnti
6) Costi eccezionali o ‘una tantum’ da depurare
7) Sovra o sotto valutazione del magazzino e dei crediti
Tutte queste voci vanno spiegate con grande pazienza ma, come dico spesso, la ricostruzione è un percorso in salita perché frutto di assunzioni arbitrarie su cui ci sono sempre discussioni.
IL PERIODO DI RIFERIMENTO
La scelta di un corretto periodo e tempistica di valutazione è anch’essa frutto di notevoli discussioni ed ecco le casistiche più importanti
- Periodo di riferimento dell’Ebidta. Un tema di difficile determinazione è il periodo di riferimento nel quale considerare il calcolo (l’anno in corso? gli ultimi 3 anni? l’anno in corso e l’anno precedente? ecc). In presenza di risultati stabili non si pone il problema ma, come avviene sempre più frequentemente, in presenza di forti variabilità da un anno con l’altro si creano forti squilibri in base alla scelta del periodo di riferimento.
- La stessa identica problematica si presenta per definire il periodo in cui si calcola la posizione finanziaria netta che ad esempio con business ad alta stagionalità ha delle variazioni molto rilevanti per cui se prendiamo il dato puntuale o una media di periodo abbiamo fortissime variazioni.
- Tempistica del ripristino delle immobilizzazioni. Altro grosso limite è la valutazione del periodo di ripristino delle immobilizzazioni che non è tenuto presente. Per fare un esempio, 2 società identiche, una con macchinari nuovi e l’altra con macchinari datati, stando alla pura interpretazione della formula avrebbero la stessa valutazione e questo è chiaramente un controsenso.
LIMITI DELL’EBITDA COME METRICA DI VALUTAZIONE
Ci sono diversi limiti nell’utilizzo dell’EBITDA
- Ammortamenti. Il più grosso limite è derivato proprio da non considerare gli ammortamenti. E’ vero che non comportano esborso di cassa ma è altresì vero che le immobilizzazioni devono essere ripristinate per cui il non considerarle può essere molto pericoloso. Ci sono immobilizzazioni che durano moltissimo (pensiamo agli immobili) per cui si può anche non considerare il ripristino nel breve periodo ma ci sono molte immobilizzazioni di brevissima durata in cui il periodo di ripristino necessario è spesso inferiore addirittura alla durata fiscalmente definita per gli ammortamenti per cui si deve prestare grande attenzione.
- Oneri finanziari. E’ vero che gli oneri finanziari dipendono dalla struttura del capitale (cioè quanto debito e quanto capitale proprio viene immesso per far funzionare l’azienda) ma è altresì vero che ci sono business che assorbono molta cassa per cui hanno strutturalmente indebitamento elevato per cui non si può non tenerne conto (è comunque un tema che parzialmente viene tenuto presente nella posizione finanziaria netta)
- Tassazione. L’ottimizzazione della politica fiscale è un’attività molto importante e rilevante e non può essere trascurata
Per ritornare al solito esempio, 2 società identiche, ma con ottimizzazione fiscale totalmente diversa, non possono avere lo stesso valore e se usiamo solo l’EBITDA succede questo.
- Capitalizzazioni. Qui siamo nel campo della magia perché facciamo sparire le voci: con l’attività di capitalizzazione nel corso dell’anno si eliminano costi che diventano immobilizzazioni e quindi l’EBITDA migliora. Negli anni successivi questi costi entrano negli ammortamenti ma siccome non sono considerati è come se non ci fossero e quindi abbiamo fatto la magia di far sparire delle voci.
Per ridurre i difetti della valutazione con il metodo multipli Ebidta c’è un’altra metrica definita del “cassetto” usata dai nostri genitori o molto più elegantemente definita “owner earning” ed elaborata da Warren Buffet che è probabilmente il più grande investitore sul globo.
Questo è la somma algebrica di Utile netto + ammortamenti – investimenti ricorrenti medi annui per mantenere adeguata la struttura. In grande sintesi è “quanto resta in tasca” e purtroppo, questa regola aurea è trascurata a favore della metodologia dei multipli Ebitda.